di Francesca Marrone – WIN.

Siamo ormai in emergenza e non sappiamo sino a quando. Le misure attuate, mai viste nella storia della nostra Repubblica, stanno stravolgendo le nostre abitudini, la nostra vita, ma ci inducono anche ad una seria riflessione sul valore della libertà di movimento e sull’importanza del lavoro.

Sin dall’inizio si è cercato di condurre una vita normale, rispettando orari di lavoro e relativi impegni, ma poi l’istituzione delle zone ”rosse” e gli ultimi provvedimenti hanno modificato profondamente la nostra giornata ordinaria. Nessuna riunione, nessuna trasferta, ma continuare, per quanto possibile, ad evadere le attività previste.

Da quando il coronavirus ha fatto irruzione nel nord del nostro paese ha svelato la fragilità dei nostri sistemi (immunitari, sanitari ed organizzativi) ed anche la scarsa capacità di adattamento delle lavoratrici, dei lavoratori nonchè delle aziende a gestire la situazione, che ribadisco, è veramente eccezionale e assolutamente nuova rispetto ad altre emergenze che sinora abbiamo vissuto.

Non siamo abituati alle epidemie, di solito le percepiamo come avvenimenti lontani che oramai non possono più colpire le nostre lande civilizzate. Poco attrezzati dunque ad affrontare emergenze che ci colpiscono così da vicino e richiedono di rallentare. Più abituati a darsi la colpa l’un l’altro invece che una mano per superare i momenti di (grave) crisi.

Nello stesso tempo questa crisi e le difficoltà del lavorare stanno dimostrando che seppur amiamo il tempo libero, amiamo ed anche molto il lavoro.

Stiamo comprendendo che senza i giorni feriali anche i giorni festivi non hanno senso. Il lavoro e il suo scandire i nostri ritmi di vita quotidiani è un grande antidoto nei momenti difficili e la misura che tutto scorre nella “normalità”, parola che spesso si accosta alla noia, ma che ora quanto mai ci appare lontana.

Finalmente abbiamo l’occasione per capire quanto i beni relazionali, che non sembrano avere alcun valore economico, sono essenziali e più preziosi quanto e più di alcune merci.

Sembra che la piramide dei bisogni si sia rovesciata. Da un grande male comune (virus) sembra stia nascendo un bene comune, stiamo reimparando e rafforzando il valore ed il prezzo (se uno ne hanno) le relazioni umane; a ben vedere già mantenere un solo metro di distanza sembra faticoso.

E così per fronteggiare questa situazione, che sembra protrarsi oltre quanto avremmo mai immaginato, e non arrestare completamente il ciclo produttivo, imprese, banche, assicurazioni intensificano oppure sperimentano lo smart working, almeno là dove si può svolgere l’attività in maniera “agile” da casa.

Tale possibilità di lavorare è stata facilitata da uno dei decreti attuativi pubblicati in Gazzetta Ufficiale, per affrontare l’emergenza sanitaria, che introduce la possibilità di ricorrere al lavoro agile anche senza precisi accordi azienda-lavoratore.

Per fortuna in questi ultimi anni molte aziende si erano già dotate di tale modalità di lavoro, che seppur nata per far fronte alle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con difficoltà, ad esempio per la cura dei figli piccoli e/o dei genitori anziani o temporanei problemi di salute, o per motivi di mobilità, se la sede di lavoro è molto lontana dalla propria residenza, oggi si sta rivelando una vera opportunità per molte aziende, per ridurre o almeno limitare i danni. Le aziende così riescono a proseguire almeno in parte le loro attività.

Parte del nostro lavoro e di quello dei nostri collaboratori si può fare da remoto e ciò significa riuscire a non fermare del tutto la filiera produttiva e continuare a fornire un servizio senza interrompere del tutto le nostre attività e senza ricadute sui clienti.

E’ chiaro, comunque, che questa modalità di lavorare, seppur ben organizzata, efficace ed efficiente, non potrà mai sostituire la rete di relazioni umane, di cui abbiamo scritto e che in un settore come il nostro è assolutamente necessaria per instaurare correttamente e stabilizzare quel rapporto fiduciario su cui si basa il rapporto clientelare.

Proprio dal nostro settore può partire il messaggio che dovremmo sempre applicare il principio di precauzione, che porta l’individuo, ma in questo caso la società civile, ad attrezzarsi per tempo quando arriva un momento eccezionale, ma devastante.

E’ proprio il compito dell’assicurazione, che sia individuale o collettiva, investire in tempi ordinari per premunirsi e gestire gli eventi straordinari, che portano conseguenze economiche e sociali sconvolgenti, si potrebbe mutuare la locuzione latina “Si vis pacem, para bellum”

Facciamo tesoro del messaggio che questo virus ha voluto darci e pensiamo al bene comune.