di Sara Bonetti.
Si è svolta a Milano lo scorso 27 settembre la presentazione dei risultati della quinta indagine annuale condotta da Cineas e Mediobanca sulla diffusione del Risk Management nelle medie imprese italiane. Lo studio ha coinvolto oltre 270 imprese manifatturiere italiane di proprietà familiare, con un fatturato medio di oltre 60 milioni di euro e forza lavoro pari a circa 150 unità.
Guardando al cuore delle aziende la maggiore criticità è legata al passaggio generazionale dei membri della famiglia all’interno del board. Solo il 20% delle imprese intervistate dichiara di avere messo in atto un piano per la successione, mentre il 55% del campione ammette di non aver predisposto una strategia a riguardo.
Questo fatto è da imputare principalmente alla carenza di competenze altamente qualificate all’interno della proprietà, che spesso non viene compensata con l’assunzione di figure manageriali esterne. Da notare che proprio la compresenza nel board di famiglia proprietaria e management esterno risulta essere maggiormente premiante per la redditività dell’azienda.
Per quanto riguarda il contesto economico generale, permane una forte preoccupazione nei confronti della situazione di recessione globale e della bassa competitività del sistema italiano. La perdita del cliente chiave e politiche di prezzo aggressive da parte dei concorrenti sono percepiti come i principali fattori di rischio per la redditività dell’azienda, mentre la superiorità tecnologica dei competitors non è percepita come fattore particolarmente penalizzante. Proprio sul tema dell’innovazione tecnologia, ha osservato Gabriele Barbaresco (Direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca), l’approccio delle aziende risulta ancora culturalmente debole. É singolare infatti notare come grande rilevanza è stata attribuita al tema dell’automazione (robot e domotica), ma ciò a discapito delle tematiche legate alle più recenti innovazioni informatiche (internet delle cose, mobile health, droni).
Il quadro complessivo fotografa un sistema delle medie imprese imperniato su modelli tradizionali, che fatica ad adeguarsi alla dinamicità del contesto attuale.
Se nel passato si è potuto contare sulla certezza di una crescita organica e sulla solidità dell’impresa familiare, ha osservato Alberto Baban (Vicepresidente di Confindustria) la rapidità con cui varia il contesto porta verso un futuro in cui incertezza ed instabilità caratterizzeranno in maniera sistemica i processi produttivi.
L’estremizzazione dei fenomeni e la sempre maggiore violenza con cui questi si manifestano richiederanno da parte delle aziende una grande vicinanza al mercato di riferimento, un maggiore controllo e capacità di analisi del consumatore. L’economia dei dati ed il possesso di asset critici, ha aggiunto Giuliano Noci (Professore di strategia e marketing al Politecnico di Milano), saranno predominanti rispetto agli asset fisici. Il processo di omologazione dei sistemi sposterà l’attenzione dal prodotto merceologico all’offerta di servizi ad esso collegati.
Alla società del rischio si aggiunge la società dell’incertezza, ha osservato Adolfo Bertani (Presidente Cineas), che non può essere interpretata con i tradizionali modelli matematici, ma nella quale è necessario sviluppare nuove competenze di tipo adattivo, per essere in grado di rispondere in maniera flessibile e reattiva.
In questo contesto, la gestione integrata dei rischi rappresenta non solo un importante fattore di redditività aziendale, come dimostrano i risultati dell’indagine Cineas – Mediobanca (le aziende che gestiscono i rischi ottengono un +31% di Ritorno dell’investimento), ma soprattutto uno strumento manageriale di rilevanza strategica per governare i flussi economici.
Ciò nonostante, la percezione del rischio e la diffusione di un sistema di gestione integrata è ancora piuttosto limitata tra le medie imprese intervistate, e rappresenta un mercato potenziale di grande interesse per il settore assicurativo e il mondo della consulenza, stimato in oltre 0,2 miliardi di euro.
Proprio del ruolo che il mondo assicurativo può giocare nel contesto delle medie imprese italiane abbiamo domandato al Dott. Adolfo Bertani, Presidente Cineas, che ringraziamo per questa breve intervista.
Dott. Bertani, nella giornata di oggi si è molto dibattuto circa l’incertezza che caratterizza ormai in modo sistemico la dimensione futura. Incertezza che genera nuove necessità in materia di controllo del rischio. In che modo il mondo assicurativo italiano può soddisfare questo nuovo tipo di esigenza?
Il mondo assicurativo di oggi è un mondo abbastanza tradizionale, perché ha sempre privilegiato l’ottica del “prodotto” – il contratto assicurativo – all’ottica del servizio al cliente, operando tramite l’intermediazione e raramente utilizzando il sistema diretto b2c, come si diceva oggi. Tuttavia, vedo delle differenze tra le compagnie di matrice straniera, che hanno più cultura internazionale e quindi la possibilità di vendere anche servizi molto evoluti – penso ad esempio a compagnie quali Zurich e Allianz che vendono servizi di risk engineering – e le compagnie tipicamente nazionali, che hanno ancora bisogno di crescere in questo tipo di approccio.
Chiaramente, come emerso dalla discussione della tavola rotonda di oggi, il futuro risiede sempre più nella vendita di servizi – integrati al prodotto, che rimane alla base – ma comunque vendita di servizi.
Sto notando in questi ultimi tempi, e l’indagine dell’Osservatorio che abbiamo presentato oggi lo conferma, che le aziende hanno sempre più bisogno di nuovi servizi, ma che il mondo assicurativo non ha ancora colto questa necessità.
L’opportunità è stata invece colta dal mondo della consulenza. Non a caso nei nostri Master abbiamo molti dipendenti di società di consulenza – che vogliono crescere in competenze per vendere il servizio – e ne abbiamo pochi di compagnie di assicurazione.
Il mio augurio per il futuro è che la situazione si possa invertire e che il mondo assicurativo, anche quello nazionale italiano, capisca l’importanza di questa opportunità e cominci ad attrezzare le competenze al proprio interno. Il problema è, infatti, quello di creare al proprio interno delle competenze vere e altamente specialistiche, per dare un servizio al mondo delle imprese.
Le cito in finale un’esperienza diretta. Quando ero presidente della Zurigo, nel 1989, avevo creato il primo risk engineer d’Italia. Si era formato con 3 mesi di corso a Zurigo e 3 mesi di corso a Chicago e, una volta tornato in Italia, possedeva un elevatissimo know how in materia di gestione dei rischi. Abbiamo inizialmente offerto questo servizio alle aziende clienti di Zurigo in forma gratuita, e tutte lo hanno accolto in maniera molto positiva, perché dava un valore aggiunto. Decidemmo in un secondo tempo di fare pagare questo servizio, con grossa preoccupazione. E la mia sorpresa è stata quella che tutti coloro che avevano usufruito del servizio gratuitamente hanno poi pagato per mantenerlo. Questo significa che se ci sono competenze e know how le imprese sono disposte ad investire. Il vero problema è trovare, in Italia, questo tipo di competenze.
Il mondo dei periti si trova ai margini rispetto ai ragionamenti fatti questa mattina. Tuttavia è emerso più volte il tema della scarsa cultura, consapevolezza e padronanza del rischio. In che modo il mondo peritale, che rappresenta il tassello finale del processo assicurativo, può influenzare questa percezione?
Oggi si è parlato molto di accelerazione del cambiamento ed il mondo peritale è attualmente in pieno processo di accelerazione del cambiamento. Credo che il mondo degli studi professionali peritali sia molto avvantaggiato. Ad esempio, i periti conoscono tutto sul sinistro e, nell’ottica della prevenzione, una delle regole basilari consiste proprio nell’imparare dagli errori. Quindi, oggi, il mondo degli studi professionali dei periti è potenzialmente la struttura ideale per fare prevenzione, perché capisce cosa è mancato in quell’azienda per quel sinistro.
E’ necessario per gli studi peritali, però, passare dal concetto di finalizzare questa qualità in ottica di business, quindi crescere in competenze sulla prevenzione, per fornire alle aziende – non alle Compagnie, ma alle aziende – che hanno avuto il sinistro, servizi di consulenza anche nell’ottica di risk prevention.
Vedo già che nel mercato dei periti italiani qualche studio professionale comincia ad imboccare su questa strada, e credo che questa sarà la strada del futuro.
Il vero problema, tuttavia, è l’accelerazione al cambiamento, ovvero – come dico spesso – avere il cervello “spugna” e non il cervello “marmo”.
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