di Francesco Rolle

Questo mese segnalo una recente sentenza resa dal Tribunale di Ferrara in data 22 agosto 2016 ed avente ad oggetto la non semplice allocazione delle diverse responsabilità nelle ipotesi in cui le condotte del progettista, direttore dei lavori e appaltatore concorrono nella realizzazione di un evento di rovina ex art.1669 codice civile.

Per apprezzare il ragionamento fatto proprio dal Tribunale di Ferrara si rende necessaria, come sempre, una breve ricostruzione dei fatti, così come sinteticamente riportati nelle premesse della pronuncia in esame.

La società LDV citava in giudizio l’Ing. M.B., assumendo la sua civile responsabilità professionale, nella sua duplice veste di Progettista e di Direttore dei Lavori, in relazione alla realizzazione di una vasca di contenimento per l’ossigenazione dell’impianto di depurazione delle acque di scarico di uno stabilimento di proprietà della attrice.

La società LDV chiedeva quindi di accertare il danno patrimoniale chiedendo la condanna, sia del convenuto sia della terza chiamata C. S.R.L, al pagamento del danno che quantificava base dei costi sostenuti per il ripristino e per il mancato guadagno per il non utilizzo della vasca nella campagna 2011, rispettivamente in Euro 191.900,00 oltre IVA per le opere di ripristino ed Euro. 750.000,00 per il danno da mancato guadagno nell’anno 2011 oltre interessi commerciali e rivalutazione monetaria dalla data della denuncia dei vizi e difetti dell’opera.

Si costituiva in giudizio l’Ing. M.B. chiedendo in via preliminare ex art. 269 cpc di essere autorizzato alla chiamata in causa di C. s.r.l. e di F.A. spa al fine di essere manlevato e, nel merito, il rigetto della domanda di parte attrice.

Si costituiva in giudizio la F.A. spa, chiedendo di dichiarare l’inoperatività della garanzia assicurativa invocata sia perché il sinistro non rientra nel rischio assicurato, sia in applicazione dell’art. 3.7 delle condizioni di polizza. Nel merito in via subordinata in caso di riconoscimento dell’operatività della polizza, chiedeva di limitare l’indennizzo alla sola quota di responsabilità dell’assicurato come determinato in corso di causa ex art. 1.3.14 delle condizioni di polizza, con esclusione del vincolo di solidarietà.

In via ulteriormente subordinata chiedeva  di applicare lo scoperto contrattuale del 10% ed il sottomassimale di cui all’art. 1.3.1. lett. d) delle condizioni di assicurazione e, infine, di ridurre l’indennizzo come determinato nella misura del 22,92% per inesattezza degli introiti dell’assicurato ai fini del premio.

La C. SRL, costituendosi in giudizio, chiedeva in via principale di respingere le domande svolte nei propri confronti; in subordine, chiedeva comunque di dichiarare la responsabilità prevalente dell’Ing. M.B., ponendo a carico del convenuto stesso la percentuale prevalente, con condanna del medesimo al risarcimento dei danni nella misura di responsabilità accertata.

In esito al giudizio il Tribunale ritiene che la domanda attorea sia fondata nei termini che seguono.

Il Tribunale premette che, nonostante il progettista ed il direttore dei lavori rivestano ruoli differenti all’interno di un appalto, per giurisprudenza condivisibile ed oramai costante entrambi rispondono solidalmente insieme con l’appaltatore quando concorrono a produrre uno degli eventi indicati dall’art. 1669 codice civile.

La Suprema Corte ha, infatti, chiarito che “l’ipotesi di responsabilità regolata dall’art. 1669 cod. civ. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e conseguentemente nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione” (Cass., Sez. Seconda, Sentenza n. 17874 del 23/07/2013 (Rv. 627344).

Ciò premesso, il Tribunale ricorda che la norma di cui all’art. 1669 c.c. (“rovina e difetti di cose immobili“) presenta a sua volta numerosi presupposti costitutivi. La stessa infatti ricorre in tre distinte ipotesi: (a) l’avvenuta rovina totale o parziale dell’edificio; (b) l’attuale pericolo certo ed effettivo che, in un futuro più o meno prossimo possa verificarsi la rovina totale o parziale; (c) l’esistenza di gravi difetti della costruzione, che ne pregiudichino la possibilità di lunga durata che dovrebbe caratterizzarla. Ciascuna di queste tre ipotesi deve essere legata da un nesso di causalità a un difetto di costruzione o a un vizio del suolo preesistente alla costruzione stessa.

Il Tribunale ricorda inoltre che, sotto il profilo dell’onere della prova, l’ipotesi di cui all’art. 1669 c.c. pone a carico del professionista e/o dell’appaltatore una presunzione semplice che “può essere vinta, non già con la prova dell’essere stata usata tutta la diligenza possibile nell’esecuzione dell’opera, bensì mediante la specifica dimostrazione della mancanza di una sua responsabilità conclamata da fatti positivi precisi e concordanti” (Cass. Sez. Secondo, Sentenza n. 1154 del 29/01/2002 (Rv. 551949)).

Ciò premesso, ad avviso del Tribunale di Ferrara nel caso in esame risulta incontestato che il 9 agosto 2011 si è verificato un cedimento strutturale delle pareti della vasca, per cui l’acqua contenuta si riversava nel canale Consortile “Condotto Tassoni”.  Dunque in questo processo l’onere della prova gravava sull’Ing. M.B. e, per quanto riguarda l’esecuzione, sulla C. s.r.l.

Entrando nel merito della vicenda, il Tribunale rileva che i risultati cui è giunto il nominato consulente tecnico d’ufficio – esiti che il giudice ritiene di dover integralmente richiamare e condividere in quanto immuni da vizi logici e suffragati da spiegazioni scientifiche ed allegati calcoli – hanno portato a valutare, innanzitutto che la struttura originariamente progettata dall’Ing. M.B. non era idonea staticamente, principalmente a causa di una sottostima dell’area totale di armatura all’uopo necessaria in fase di progettazione.

L’inidoneità statica del progetto appare, poi, causalmente ricollegata alla rovina verificatasi con il cedimento strutturale del 9 agosto 2011, essendo stato il collasso determinato dalle carenze di armatura nelle aree di spigolo. Sotto questo profilo va riconosciuta una piena responsabilità dell’Ing. M.B. nella sua qualità di progettista.

Il Tribunale precisa inoltre che, in virtù di condivisibile giurisprudenza è del tutto irrilevante che il progetto sia stato accettato dai committenti posto che le questioni in contestazione sono di carattere essenzialmente tecnico e la committenza non era tenuta ad esserne addottorata e – almeno prima dell’apertura della fase contenziosa – di fatto non aveva competenze per giudicare: d’altra parte, nel caso in cui l’opera non sia stata eseguita a regola d’arte e in conformità ai patti, “l’accettazione da parte del cliente senza rilevarne le manchevolezze non elide ne’ riduce la responsabilità del professionista“. (Cass., Sez. Seconda, Sentenza n. 21110 del 4 novembre 2004).

Il CTU ha, inoltre, evidenziato che la costruzione si presenta difforme dal progetto originario per la diversa altezza del reinterro (metri 2,30 anziché metri 3,5), chiarendo che tale difformità – addebitabile alla ditta appaltatrice e all’Ing. M.B. quale direttore dei lavori – si connota come una concausa aggravante il danno.

A tal proposito, il Tribunale ricorda che il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore ed il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 cod. civ., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. (Cass. Sez. Secondo, Sentenza n. 14650 del 27 agosto 2012, Rv. 623883).

Il Tribunale conclude affermando che l’Ing. M.B., in quanto direttore dei lavori, avrebbe dovuto controllare il rispetto di quanto previsto in progetto, consapevole dell’incidenza dell’interramento sulla stabilità del manufatto.

Inoltre, l’impresa esecutrice avrebbe dovuto eseguire i lavori nel rispetto del progetto: la circostanza secondo cui il diverso interramento sarebbe stato ordinato dalla direzione dei lavori si è arrestata allo stadio di mera allegazione, non avendo la C. s.r.l. allegato mezzi di prova sul punto. Stante la domanda tempestivamente proposta dalla convenuta con la chiamata in causa, deve essere quindi riconosciuta una responsabilità anche a carico della terza chiamata C. s.r.l., che, alla luce della natura determinante della rovina del difetto progettuale e della idoneità del difetto in fase esecutiva solo ad aggravare il danno, va individuata nella misura del 10 %.

La sentenza risulta inoltre interessante anche nella parte in cui il Tribunale, analizzando la domanda di manleva assicurativa, conclude affermando che la stessa debba essere rigettata. Ad avviso del Tribunale, invero, ad una lettura, anzitutto, dell’art. 1.3.1. lett. c) e ss. si evince chiaramente che la polizza stipulata ha ad oggetto danni da perdita per cause imprevedibili di documentazione ed atti, da interruzione dell’attività, da erroneo trattamento dei dati personali di terzi, da errata interpretazione di norme urbanistiche e regolamenti (cfr. pag. 19).

Già da questo – prosegue il Giudice –  è evidente come la polizza abbia ad oggetto attività collaterali e connesse alla vera e propria attività di progettazione.

A tale rilievo, deve aggiungersi quanto risulta dall’art. 1.3.2. che chiarisce l’esclusione dei “danni subiti dalle opere oggetto di progettazione, direzione dei lavori e collaudo“, con ciò chiaramente determinando l’esclusione nella garanzia nel caso di specie, confermata dalla lett. g che specifica l’esclusione per “i danni conseguenti alla progettazione e/o direzione dei lavori relativi agli impianti connessi all’attività industriale“.

Orbene, che si qualifichi o meno l’opera come impianto industriale, qualità che peraltro questo giudice ritiene sussistente alla luce delle caratteristiche e dall’uso della vasca risultante dagli atti, dovrà in ogni caso escludersi l’operatività della garanzia assicurativa.