di Francesco Rolle

Questo mese segnalo una recente interessante pronuncia della Cassazione la quale, richiamato un orientamento ormai consolidatosi nel tempo, illustra chiaramente entro quali limiti le parti del contratto di assicurazione possono esercitare la azione civile laddove sia prevista una cd clausola di perizia contrattuale.

Per apprezzare il ragionamento fatto proprio dal Supremo Collegio si rende, come sempre, necessaria una breve ricostruzione dei fatti, così come sinteticamente riportati nelle premesse della pronuncia in esame.

La società Alfa nel 2002 conveniva dinanzi al Tribunale di Foggia, sezione di Cerignola, la compagnia Beta esponendo che:

–          aveva stipulato con la società convenuta un contratto di assicurazione contro il rischio di furto;

–          aveva subito il furto di un ingente quantitativo di olio di oliva;

–          l’assicuratore aveva rifiutato il pagamento dell’indennizzo.

Sulla base di tali presupposti, la attrice agiva, quindi, nei confronti della propria compagnia chiedendone la condanna:

a)      al pagamento dell’indennizzo;

b)     al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della mora, consistiti nella perdita del credito e dell’avviamento commerciali.

Con sentenza del 3 aprile 2007 il Tribunale di Foggia, sezione di Cerignola, dichiarava improponibile la domanda, a causa della previsione nel contratto di assicurazione di una clausola di perizia contrattuale, ovvero di una clausola che demandava ad un collegio di periti la determinazione della misura dell’indennizzo.

La sentenza veniva appellata dalla società Alfa: la Corte d’appello di Bari, con sentenza 19 aprile 2012, tuttavia rigettava il gravame, osservando che quando nel contratto è prevista una clausola di perizia contrattuale, questa inibisce la proponibilità di “tutte le azioni, ancorchè accessorie e senza possibilità di distinguere l’an dal quantum“.

La sentenza d’appello veniva impugnata per Cassazione dalla società Alfa, sulla base – per quanto di interesse – di un motivo di ricorso per mezzo del quale la ricorrente deduceva l’erroneità della sentenza nella parte in cui la Corte di appello aveva sostenuto che una clausola di “perizia contrattuale” quale quella in esame dovrebbe inibire all’assicurato la proposizione di qualsiasi tipo di azione.

Ad avviso della ricorrente, tale pronuncia non può essere condivisa atteso che tale forma di clausola dovrebbe inibire solamente la proposizione di domande giudiziarie che presuppongano accertamenti sovrapponibili a quelli demandati ai periti.

Nel caso di specie, proseguiva la ricorrente, il contratto devolveva ai periti il solo compito di determinare il quantum dell’indennizzo, e dunque non impediva affatto all’assicurato di ricorrere all’autorità giudiziaria per far accertare l’esistenza stessa, e la validità, del contratto. La Corte d’appello, così cadendo in errore, aveva per converso affermato che per effetto di quella clausola fosse preclusa all’assicurato anche la possibilità di proporre in sede giudiziaria una domanda di accertamento dell’efficacia e dell’operatività della garanzia assicurativa.

Il Supremo Collegio ritiene tale motivo fondato per le ragioni che seguono.

Gli Ermellini premettono che la Corte d’appello aveva rilevato in facto che il contratto di assicurazione prevedeva, all’art. 17, una clausola in virtù della quale le parti si obbligavano, in caso di sinistro, a concordare bonariamente l’entità dell’indennizzo, ovvero a demandarne l’accertamento, “a richiesta di una di esse“, a periti da loro nominati.

Nello specifico, la clausola oggetto di esame precisava che ai periti sarebbe stato demandato l’accertamento:

–          delle circostanze e modalità del sinistro;

–          dell’esattezza della descrizione del rischio, e della sussistenza di eventuali casi di aggravamento di esso;

–          della misura dell’indennizzo.

Dopo aver rilevato ciò in facto, la Corte d’appello aveva qualificato la clausola in esame come “perizia contrattuale“, ed aveva ritenuto che la pattuizione di una clausola di questo tipo, comportando la “rinuncia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal contratto“, implicasse “la temporanea improponibilità di tutte le azioni riconducibili alla pretesa controversia, ancorchè accessorie, e senza possibilità di distinguere l’an dal quantum“.

Ad avviso del Ermellini, la Corte di Appello, così decidendo, aveva tuttavia male applicato le regole da tempo stabilite dal Supremo Collegio circa gli effetti delle clausole che prevedano una c.d. “perizia contrattuale“.

La Corte di Cassazione nella motivazione oggetto di analisi precisa invero che da oltre quarant’anni (per l’esattezza, a partire da Sez. 1, Sentenza n. 4840 del 25 ottobre 1978) la Cassazione viene ripetendo che il patto contenuto nel contratto di assicurazione, in virtù del quale le parti demandino a terzi la composizione di eventuali contrasti, può essere di due tipi.

Ove le parti demandino a terzi la soluzione di questioni prettamente giuridiche (come l’interpretazione del contratto, l’accertamento della sua validità, la valutazione della sua efficacia), tale patto deve essere qualificato come arbitrato, salvo valutare caso per caso se le parti abbiano inteso stipulare un arbitrato libero o rituale.

Ove, per converso, le parti abbiano inteso demandare a terzi il mero accertamento e rilievo di dati tecnici (esistenza del danno, valore delle cose danneggiate, stima dell’indennizzo), tale patto deve essere qualificato come “perizia contrattuale“.

Con la previsione dell’arbitrato le parti demandano ai periti un atto di volizione; con la previsione della perizia contrattuale le parti demandano ai periti una dichiarazione di scienza (ex permultis, Sez. 1, Sentenza n. 10705 del 10 maggio 2007; Sez. 1, Sentenza n. 13436 del 22 giugno 2005; Sez. 3, Sentenza n. 9996 del 24 maggio 2004).

Da questa distinzione di tipo sostanziale – prosegue la Corte – discendono varie conseguenze di tipo processuale. Tra le altre, la seguente: la pattuizione di una clausola di perizia contrattuale non impedisce alle parti di ricorrere al giudice per la risoluzione delle controversie che involgono la soluzione di questioni giuridiche e ciò per la semplice ragione che tali controversie sono state escluse da quelle demandate ai periti.

Se cosi non fosse – prosegue la Corte – le parti del contratto verrebbero a trovarsi in una autentica aporia zenoniana: ai periti non potrebbero rivolgersi perchè la lite esula dai loro poteri, ed al giudice non potrebbero rivolgersi sinchè non abbiano interpellato i periti.

Gli Ermellini precisano, inoltre, che i principi che precedono sono stati ripetutamente affermati dal Supremo Collegio. Si è già stabilito, tra l’altro, che la previsione d’una perizia contrattuale avente ad oggetto la stima del danno non impedisce alle parti di investire il giudice delle questioni concernenti:

–          l’accertamento dell’esistenza del diritto all’indennizzo (Sez. 3, Sentenza n. 3961 del 13 marzo 2012; Sez. 1, Sentenza n. 6162 del 17 novembre 1982);

–          la sussistenza della mala fede o della colpa dell’assicurato nella descrizione del rischio, per i fini di cui agli artt. 1892 e 1893 cod. civ. (Sez. 3, Sentenza n. 12880 del 04 settembre 2003; Sez. 1, Sentenza n. 4325 del 27 luglio 1982);

–          la validità e l’operatività della garanzia assicurativa (Sez. 3, Sentenza n. 14909 del 22 ottobre 2002; Sez. 3, Sentenza n. 10554 del 23 ottobre 1998; Sez. 1, Sentenza n. 9032 del 28 agosto 1995, nella cui motivazione, significativamente, si afferma che “durante l’espletamento dell’indagine tecnica (…) ben può farsi ricorso al giudice ordinario per ottenere la sentenza sulla affermazione o esclusione di responsabilità dell’assicuratore“; Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 16 luglio 1985).

Il Supremo Collegio conclude rilevando che nel caso di specie la Corte d’appello ha espressamente qualificato la clausola in esame come “perizia contrattuale“, né l’assicuratore ha impugnato in questa sede tale qualificazione, sulla quale si è pertanto formato il giudicato. Una volta qualificata la clausola in esame come “perizia contrattuale“, la Corte d’appello avrebbe quindi dovuto trarne la conseguenza, ai sensi dell’art. 1374 c.c., che quella clausola non inibiva alle parti la facoltà di domandare al giudice ordinario l’accertamento dell’esistenza, della validità o dell’efficacia della polizza, posto che tali questioni esulavano dal contenuto della clausola.