di Francesco Rolle
Questo mese segnalo una recente ordinanza resa dalla Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. VI 3, Ord., 26 aprile 2017, n. 10221), in relazione ad un contratto di assicurazione della RC, in tema di mala gestio.
Per apprezzare il ragionamento fatto proprio dal Supremo Collegio si rende necessaria, come sempre, una breve ricostruzione dei fatti, così come sinteticamente riportati nelle premesse della pronuncia in esame.
M.P. ed il suo assicuratore della r.c.a., la SIDA s.p.a., nel 1993 venivano convenuti dinanzi al Tribunale di Salerno da R.P. e da G.M., i quali ne chiedevano la condanna al risarcimento dei danni patiti dal proprio figlio R.A., per essere stato investito da un veicolo condotto da M.P.
Pendente questo giudizio, nel 2000 M.P. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la società N.T. s.p.a., quale impresa cessionaria del portafoglio della SIDA s.p.a.. Nei confronti della convenuta l’attore chiedeva la condanna ad essere manlevato, anche oltre il limite del massimale, dalle pretese risarcitorie avanzate dalle persone che l’avevano convenuto nel primo giudizio avviato avanti il Tribunale di Salerno.
M.P. deduceva inoltre che la SIDA prima, e la Nuova Tirrena poi, si erano rese inadempienti agli obblighi contrattuali, e che dovevano quindi tenerlo indenne anche oltre il limite del massimale previsto dalla polizza.
La Corte d’appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, con sentenza 13 giugno 2014 accoglieva solo parzialmente la domanda. Il giudice d’appello, in particolare, aveva articolato il seguente sillogismo:
- il danneggiato conveniva in giudizio l’assicuratore nel 1993;
- l’assicuratore pagava l’intero massimale nel 1996;
- ergo, l’assicurato ha diritto ad essere tenuto indenne dalle pretese del terzo danneggiato, oltre il massimale, solo per gli interessi e la rivalutazione maturati tra il 1993 e il 1996.
La Corte d’appello, inoltre, escludeva di poter condannare l’assicuratore a pagare alcunché all’assicurato, poiché questi a sua volta non aveva dimostrato di aver alcunché pagato al danneggiato.
La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da M.P., con ricorso fondato su plurimi motivi. Resisteva la compagnia di assicurazione.
Premessa la distinzione tra mala gestio impropria (ovvero la condotta morosa dell’assicuratore, che lo espone al risarcimento anche ultramassimale nei confronti del terzo danneggiato), e mala gestio propria (ovvero l’inadempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto, che espone l’assicuratore a rivalere l’assicurato di quanto sia stato costretto a pagare al terzo danneggiato), il ricorrente spiegava di avere formulato, sin dall’atto introduttivo del primo grado, una domanda di “mala gestio propria”.
Precisava che con tale domanda intendeva ottenere la condanna dell’assicuratore al risarcimento del danno da inadempimento del contratto di assicurazione della r.c.; risarcimento che consiste nella rifusione all’assicurato delle somme che questi avrebbe evitato di pagare al terzo danneggiato, se l’assicuratore avesse tempestivamente e diligentemente adempiuto le proprie obbligazioni contrattuali.
Ad avviso del ricorrente la Corte d’appello, invece, aveva accordato all’assicurato la sola rivalutazione monetaria e gli interessi, sul massimale di Lire 200.000.000, per il periodo compreso tra la notifica dell’atto di citazione (1993) e il pagamento al danneggiato dell’intero massimale (1996). Così giudicando, concludeva il ricorrente, la Corte d’appello ha confuso gli effetti della mala gestio impropria con quelli della mala gestio propria. Solo la prima, infatti, fa sorgere in capo all’assicuratore l’obbligo di pagare al terzo danneggiato interessi e rivalutazione sul massimale. La violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e buona fede (mala gestio propria), invece, fa sorgere in capo all’assicuratore l’obbligo di risarcire un danno che non necessariamente consiste nella rivalutazione e negli interessi.
Ad avviso della Suprema Corte il ricorso è fondato nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 1917 c.c. per le ragioni che seguono.
L’assicuratore della responsabilità civile (di ogni tipo) ha l’obbligo di tenere indenne l’assicurato delle conseguenze pregiudizievoli di un fatto da lui commesso durante il tempo per il quale è stata stipulata l’assicurazione (art. 1917 c.c.). Tale obbligo sorge nel momento in cui l’assicurato (ovvero il terzo danneggiato quando la legge glielo consente, come nell’assicurazione della r.c.a.: L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 22, applicabile ratione temporis al nostro caso), richiede all’assicuratore il pagamento dell’indennizzo (ovvero risarcimento del danno).
A partire da tale momento, l’assicuratore ha l’obbligo nei confronti dell’assicurato di attivarsi con la diligenza da lui esigibile ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, per accertare le responsabilità, stimare il danno, formulare l’offerta, pagare l’indennizzo. La violazione di tali obblighi costituisce un inadempimento del contratto di assicurazione.
Dall’inadempimento del contratto di assicurazione discende, come da quello di qualsiasi altro contratto, l’obbligo dell’inadempiente di risarcire il danno (art. 1218 c.c.). Il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento dell’assicuratore della r.c.a. dell’obbligo di liquidare sollecitamente il danno patito dal terzo danneggiato non sempre può essere liquidato addizionando il massimale degli interessi.
Gli Ermellini, richiamando un proprio precedente, ricordano che per la stima del danno da mala gestio (di ogni tipo) occorre distinguere tre ipotesi.
La prima eventualità è che, nonostante la mala gestio ed il ritardato adempimento, il massimale resti capiente. In tal caso ovviamente nulla quaestio: si applicheranno le regole sulla mora nelle obbligazioni di valore, e l’assicuratore potrà andare incontro unicamente alle sanzioni amministrative previste dall’art. 315 cod. ass..
La seconda eventualità è che il massimale, capiente all’epoca dell’illecito, sia divenuto incapiente al momento del pagamento: vuoi per effetto del deprezzamento del denaro, vuoi per effetto della variazione dei criteri di liquidazione del danno. In tal caso l’assicurato, se l’assicuratore avesse tempestivamente indennizzato il terzo, nulla avrebbe dovuto sborsare di tasca propria, e sarebbe rimasto indenne dalle conseguenze civili del proprio illecito. Di conseguenza nel caso di mala gestio egli potrà pretendere dall’assicuratore il risarcimento integrale, senza riguardo alcuno al limite del massimale, giacché l’assicuratore dovrà in tale ipotesi risarcire non il fatto dell’assicurato (per il quale vige il limite del massimale), ma il fatto proprio, e cioè il pregiudizio patito dall’assicurato e derivato dal colposo ritardo nell’adempimento.
La terza eventualità è che il massimale già all’epoca del sinistro fosse incapiente. In tal caso, quand’anche l’assicuratore avesse tempestivamente pagato l’indennizzo, l’assicurato non avrebbe mai potuto ottenere una copertura integrale da parte dell’assicuratore. In questo caso, se l’assicuratore incorre in mala gestio, egli sarà tenuto a pagare all’assicurato gli interessi legali (ed eventualmente il maggior danno, ex art. 1224 c.c., comma 2), sul massimale.
In questi casi inoltre, costituendo il debito dell’assicuratore una obbligazione di valuta, non è possibile cumulare la rivalutazione del massimale e gli interessi, ma delle due l’una: o il danneggiato dimostra di avere patito un “maggior danno”, cioè un pregiudizio causato dal ritardo nell’adempimento non assorbito dagli interessi legali, ed allora avrà diritto al risarcimento di quest’ultimo; ovvero nulla dimostra a tal riguardo, ed allora gli spetteranno i soli interessi legali (per tutti questi principi si veda già Sez. 3, Sentenza n. 13537 del 13 giugno 2014).
Ritornando al caso oggetto di esame, ed applicando i richiamati principi in diritto, la Suprema Corte ritiene che la Corte d’appello, dinanzi ad una domanda di risarcimento del danno da mala gestio (rectius, da inadempimento del contratto di assicurazione della r.c.), non si sarebbe dovuta limitare a conteggiare gli interessi, ma avrebbe dovuto dapprima accertare se il tempestivo adempimento dell’assicuratore, all’epoca dei fatti (1989) avrebbe o no garantito all’assicurato una copertura totale; e poi procedere alla stima del danno coi criteri indicati nei tre paragrafi precedenti.
La Suprema Corte conclude affermando quindi che la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale nel riesaminare il gravame di M.P. si dovrà attenere ai seguenti principi di diritto:
1) Il danno che l’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli può causare al proprio assicurato, colposamente ritardando l’adempimento dei propri obblighi nei confronti del terzo danneggiato, non è rappresentato dai meri interessi di mora, ma consiste in una differenza: quella tra il risarcimento cui l’assicurato sarebbe stato costretto dal terzo, se l’assicuratore avesse tempestivamente adempiuto la propria obbligazione (e dunque anche zero, se possa presumersi che un tempestivo pagamento non avrebbe ecceduto il massimale), e la somma che invece l’assicurato sarà costretto a pagare al terzo, a causa del ritardo dell’assicuratore e della sopravvenuta incapienza del massimale.
2) Il danno da “mala gestio” dell’assicuratore della r.c.a. deve essere liquidato, allorché il credito del danneggiato già al momento del sinistro risultava eccedere il massimale, attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul massimale, ovvero, in alternativa, attraverso la rivalutazione dello stesso, se l’inflazione è stata superiore al saggio degli interessi legali, in applicazione art. 1224 c.c., comma 2, mentre, se lo stesso era originariamente inferiore al massimale e solo in seguito è levitato oltre tale soglia, il danno è pari alla rivalutazione del credito, cui va aggiunto il danno da lucro cessante liquidato secondo i criteri previsti per l’ipotesi di ritardato adempimento delle obbligazioni di valore.
3) L’assicurato può chiedere la condanna dell’assicuratore della responsabilità civile a tenerlo indenne dalle pretese dal temo, anche se non gli abbia ancora pagato nulla; in tal caso la condanna dovrà essere pronunciata in forma condizionata, e subordinata alla dimostrazione dell’avvenuto pagamento da parte dell’assicurato.
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