Sempre più spesso, complici gli evidenti mutamenti climatici che caratterizzano il nostro periodo, i giudizi aventi ad oggetto la civile responsabilità del custode ex art.2051 cc – da noi già affrontata con nota “Non tutte le buche sono fonte di responsabilità per la Pubblica Amministrazione” del marzo 2015 – sono diretti ad accertare se l’evento atmosferico in occasione del quale la cosa in custodia diviene foriera di danni a terzi sia di intensità così eccezionale da integrare quel caso fortuito che, ai sensi della norma in esame, è idoneo ad escludere la civile responsabilità oggettiva del custode.
La Cassazione, con la sentenza n.5658 del 9 ottobre 2010 in esame, ha affrontato e risolto in un caso concreto di evento alluvionale questo delicato profilo, individuando inoltre in modo preciso gli elementi in fatto che devono essere rispettivamente allegati e provati da un canto dal soggetto danneggiato e dell’altro dal custode del bene al fine di andare esente da responsabilità.
Per apprezzare il ragionamento fatto proprio dalla Cassazione si rende necessaria come sempre una breve ricostruzione dei fatti, così come sinteticamente riportati dalla stessa Corte nelle premesse della pronuncia in esame.
Con separate citazioni del giugno 1997 F. e M. G. convenivano in giudizio, avanti il Pretore di Messina, l’Anas, chiedendone la condanna al risarcimento del danno cagionato dall’allagamento dei rispettivi appartamenti conseguenti alla tracimazione delle acque dalla SS. 114 e cagionate dall’omessa manutenzione del relativo sistema di smaltimento delle acque piovane.
Si costituiva in giudizio l’ente convenuto, il quale contestava la domanda, deducendo che il danno era da ascrivere ad un eccezionale nubifragio che aveva colpito la provincia e che aveva determinato la dichiarazione dello stato di emergenza. Una volta riuniti i giudizi, veniva acquisito l’accertamento tecnico preventivo già espletato a richiesta degli attori; quindi, disposta una CTU, il Tribunale, con sentenza n. 22/03 del 9 gennaio 2003, rigettava la domanda.
A seguito dell’appello proposto dai signori M.F. e M.G. la Corte di Appello di Messina così decideva: “1) rigetta l’appello; 2) dichiara compensate le spese di questo grado”.
Nel proprio ricorso per Cassazione i signori M.F. e M.G. deducevano l’errore in cui era incorsa la Corte d’Appello di Messina nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto che nel caso si potesse configurare un’ipotesi di caso fortuito e/o forza maggiore sulla base di elementi insufficienti, senza considerare adeguatamente le risultanze emerse nel corso della istruttoria.
In particolare ad avviso dei ricorrenti: a) gli accertamenti eseguiti in sede di istruzione preventiva (ATP), praticamente nella immediatezza dell’evento calamitoso, avevano evidenziato che i pozzetti ed i tombini stradali “erano ancora visibilmente intasati”; b) gli accertamenti eseguiti, poi, in sede di consulenza d’ufficio, nella fase di merito, avevano rilevato che l’eccezionalità dell’evento invocato dall’Anas, non può in ogni caso esimere lo stesso dall’essere accusato di trascuratezza nell’espletamento della sorveglianza e manutenzione dell’opera in oggetto, che si evince dalla semplice osservazione fotografica.
I ricorrenti rilevano inoltre che, se i tombini fossero stati periodicamente ripuliti dall’accumulo di materiali che con gli eventi meteorici ordinari in questi si riversano, di cui una parte significativa va man mano a sedimentarsi con notevole accumulo, non si sarebbe verificato l’evento di cui trattasi.
I ricorrenti deducevano poi l’errore in cui era incorsa la Corte territoriale per aver omesso di motivare su una circostanza fondamentale, inequivocabilmente accertata dal CTU, vale a dire l’inidoneità, per le sue ridotte dimensioni, del pozzetto di scarico delle acque che dal nastro stradale si raccolgono nella cunetta ad essa afferente di dimensioni già insufficienti a smaltire un afflusso di acque dovuto ad una normale piovosità.
Veniva, infine, rilevato che nulla risultava dagli atti di causa per consentire alla Corte di merito un esame comparativo tra i fenomeni meteorici verificatesi in zona in epoca antecedente e successiva all’evento calamitoso de quo. Infatti, gli elementi forniti dall’Anas riguardavano semplicemente il nubifragio verificatosi ai primi di ottobre 1996 e non consentivano pertanto un esame comparativo del genere.
Così sinteticamente ricostruiti i fatti rilevanti ai fini della decisione, la Cassazione, con la sentenza in esame, accoglieva il ricorso sulla base della seguente motivazione.
La Suprema Corte in apertura ribadisce che una pioggia di eccezionale intensità può anche costituire caso fortuito in relazione ad eventi di danno come quello in questione; ma non è affatto vero che una siffatta pioggia costituisca sempre e comunque un caso fortuito; e che dunque detta eccezionalità basti da sola per pervenire alla conclusione esposta nella sentenza.
Il fattore causale estraneo al danneggiante, per costituire caso fortuito, deve invero avere un’efficacia causale di tale intensità da interrompere il nesso eziologico tra la cosa custodita e l’evento lesivo.
La responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ex art. 2051 cod. civ., si fonda del resto non su un comportamento od un’attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa e, poichè il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, si deve ritenere che, in tema di ripartizione dell’onere della prova, all’attore compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità.
Tuttavia, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia, ed il danno stesso, esso può integrare un concorso colposo ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante secondo l’incidenza della colpa del danneggiato.
E cioè, in altri termini, deve poter essere considerato come una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare detto evento.
Ciò premesso, la Corte ritiene che nella fattispecie, dunque, l’Ente Custode per andare esente da responsabilità avrebbe dovuto dimostrare che le piogge in questione erano state da sole causa sufficiente dei danni nonostante la più scrupolosa manutenzione e pulizia da parte sua delle opere di smaltimento delle acque piovane.
Il che equivale in sostanza a dimostrare che le piogge in questione erano state così intense (e, quindi, così eccezionali) che gli allagamenti si sarebbero verificati nella stessa misura pure essendovi stata detta scrupolosa manutenzione e pulizia.
Laddove, invero, la manutenzione e la pulizia fossero state idonee a diminuire gli allagamenti nonostante l’intensità delle piogge, si sarebbe eventualmente potuta verificare, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., comma 1, solo una diminuzione della responsabilità del danneggiante.
Ad avviso della Suprema Corte l’impugnata sentenza della Corte di merito deve quindi essere riformata atteso che i Giudici di merito non hanno fatto buon governo di tali principi di diritto.
Gli stessi invero si sono limitati ad affermare la sussistenza del caso fortuito sulla base della mera affermata eccezionalità delle precipitazioni senza provvedere, con adeguata motivazione, alla verifica degli altri presupposti, quali appunto la assenza di responsabilità dell’Ente per omessa o non adeguata manutenzione della strada.
Francesco Rolle
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