La sentenza resa dal Tribunale di Trento in data 3 maggio 2012 a mio avviso merita d essere analizzata in quanto, oltre a delineare in modo chiaro e corretto i confini tra le diverse responsabilità del produttore e del venditore di un prodotto risultato difettoso, sotto un profilo assicurativo chiarisce quali effetti spieghi la preventiva liquidazione di un indennizzo assicurativo erogato in forza di una polizza incendio sulla successiva azione risarcitoria esercitata dall’assicurato.

Per apprezzare il ragionamento fatto proprio dal Tribunale di Trento si rende come sempre necessaria una breve ricostruzione dei fatti, così come sinteticamente riportati nelle premesse della pronuncia in esame.

L’attore agiva in giudizio chiedendo, previo accertamento del vizio strutturale e funzionale del veicolo Adam Opel Astra Station Wagon acquistato presso la convenuta F. srl e distribuita in Italia dalla convenuta General Motors, la condanna in solido delle convenute, a titolo di responsabilità contrattuale la prima e di responsabilità extracontrattuale per prodotto difettoso la seconda, al risarcimento del danno pari all’importo di Euro 5.000,00.

L’attore chiedeva, inoltre, nei confronti della sua sola controparte contrattuale F. srl, la risoluzione del contratto di vendita stipulato in data 17 agosto 2005 con la conseguente condanna della stessa alla restituzione del prezzo pagato pari ad Euro 21.400,00, oltre ad interessi.

A sostegno delle proprie pretese l’attore deduceva in fatto che l’auto era stata acquistata in data 17 agosto 2005 ed immatricolata in data 20 ottobre 2005 e che il 10 maggio2006, mentre si trovava a percorreva la strada provinciale 43 all’altezza dell’intersezione per A. e M., era costretto ad arrestarsi perché il veicolo non rispondeva più ai comandi, del fumo iniziava a fuoriuscire dalla vettura, il motore si spegneva, si attivava la spia di guasto e le fiamme si sviluppavano dalla zona del vano motore fino ad arrivare all’interno dell’abitacolo.

Entrambe le convenute si costituivano in giudizio chiedendo, in via preliminare, l’accertamento dell’intervenuta decadenza ex art. 1495 c.c. dell’azione redibitoria e risarcitoria promossa da parte attrice e, nel merito, il rigetto della stessa in quanto infondata, anche in considerazione della polizza assicurativa per furto e incendio stipulata da parte attrice, con conseguente ingiustificato arricchimento.

Alla prima udienza del 14 marzo 2007 il Giudice ex art. 107 c.p.c. individuava la necessità di chiamare in causa la compagnia assicuratrice di parte attrice, la Unipol la quale si costituiva in giudizio dichiarando di aver corrisposto nell’agosto del 2006 un indennizzo pari all’importo di Euro 16.100,00 in virtù della polizza assicurativa furto ed incendio.

Nel corso del giudizio veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio nel corso della quale il perito accertava che l’incendio del veicolo era da ricondurre ad un surriscaldamento e/o un mancato raffreddamento del filamento del debimetro che ha innescato i residui di materiale infiammale, o le trafilazioni di olio motore o trafilazioni di gasolio. Il CTU concludeva rilevando che il principio di incendio aveva coinvolto il filtro dell’aria provocandone l’estensione alle altre parti del veicolo dal lato anteriore destro: una volta che il veicolo si era fermato, le fiamme si erano quindi verticalizzate e l’apertura del cofano motore aveva  alimentato il fuoco.

In prima istanza il Tribunale afferma che l’eccezione di decadenza formulata da entrambe le convenute è infondata e non può essere accolta e ciò a prescindere dalla qualificazione dell’attore come consumatore ai fini dell’applicazione della disciplina del codice del consumo, con il conseguente più lungo termine di decadenza di due mesi ai sensi della norma dell’art. 132 D.Lgs. n. 206 del 2005, rispetto a quello di otto giorni previsto dalla norma generale in tema di vendita dell’art. 1495 c.c..

Per quanto di interesse, ad avviso del Giudice nella specie deve trovare applicazione la normativa del codice del consumo, trattandosi di contratto stipulato per esigenze estranee all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta dall’attore, in considerazione della natura mista che il bene acquistato, autovettura, normalmente svolge, sia per recarsi materialmente al luogo di lavoro, sia per le altre pur allegate esigenze della vita quotidiana, quali ad esempio accompagnare il bambino dal pediatra o far visita ai parenti. Non si tratta cioè di bene che per le specifiche allegazioni dedotte in causa, si palesa come strumento necessario ed esclusivo dell’attività lavorativa svolta dall’attore, il quale va quindi qualificato come consumatore ai sensi della menzionata normativa.

In relazione alla domande di natura extracontratttuale formulata nei confronti della convenuta General Motors Italia il Giudice rileva che, ai sensi del D.P.R. n. 224 del 24 maggio 1988 (trasfuso nel codice del consumo D.Lgs. n. 206 del 2005; cfr. direttiva CEE 85/374), una ditta è tenuta a risarcire il consumatore dei danni provocati dal suo prodotto (difettoso). Ciò vale anche se il produttore non ha colpe dirette, vale a dire quando in fase di produzione non ha agito né in maniera dolosa né colposa. La responsabilità del produttore è, in realtà, una responsabilità oggettiva; il solo fatto di creare una situazione di pericolo (come può essere ad esempio, la commercializzazione di un prodotto difettoso) è già sufficiente per far ricadere sul produttore la responsabilità per gli eventuali danni che ne derivano.

L’art. 123 codice di consumo delinea, quindi, l’ambito del danno risarcibile, in quanto non tutti i danni per tale particolare titolo di responsabilità sono risarcibili: lo sono solo il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali, oppure la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso.

Così richiamati i principi in diritto applicabili, ad avviso del Tribunale di Trento nel caso di specie la domanda di condanna formulata nei confronti della convenuta General Motors Italia non può essere accolta atteso che non è stato allegato, e tantomeno provato, un danno ulteriore e diverso rispetto al vizio in sé, o difetto di conformità dell’auto, disciplinato nel successivo titolo III del codice del consumo. In altri termini, il vizio allegato dell’auto non ha provocato né lesioni personali e morte, né danni a cose diverse dall’auto stessa, per cui ai sensi dell’art. 123 codice del consumo, non è un danno autonomamente risarcibile nei confronti del fornitore General Motors Italia.

In relazione alla autonoma domanda di natura contrattuale formulata nei confronti dell’altra convenuta F. srl il Giudice in punto di diritto rileva che in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, mentre sull’acquirente incombe l’onere della prova, oltreché della tempestività della denuncia, anche dell’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, il venditore deve offrire la prova liberatoria (cfr. Cass. 13695/07).

Il Giudice conclude quindi affermando che in esito alla istruttoria tale domanda merita di essere accolta atteso che è stata raggiunta la piena prova dell’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate. La richiesta risoluzione del contratto è dovuta sia ai sensi degli artt. 1492 e 1493 c.c., sia dell’art. 130 codice del consumo, in quanto la scelta tra i due rimedi è rimessa alla volontà dell’acquirente, a differenza della normativa sancita in tema di appalto dall’art. 1668 comma 2 c.c. che subordina l’ammissibilità dell’azione di risoluzione all’accertamento dell’inidoneità alla destinazione dell’opera per effetto dei vizi lamentati.

Il Tribunale, facendo una corretta applicazione dei principi in diritto, riconnette quindi due effetti all’accoglimento della domanda di risoluzione.

In prima battuta, all’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto discende la restituzione del prezzo pagato, tenendo in ogni caso conto dell’uso del bene, ai sensi dell’art. 130 comma 8 codice del consumo, pari a 7 mesi di utilizzo per cui in considerazione dell’usura del bene, deve riconoscersi a parte attrice a titolo di restituzione l’importo di Euro 20.000,00.

In secondo luogo, ad avviso del Giudice deve essere riconosciuto il diritto di regresso del venditore finale da esplicare nei confronti del produttore o di un precedente venditore nell’ambito della medesima catena distributiva, così come stabilito dall’art. 131 codice del consumo.

Il Giudice, richiamando principi sanciti dalla Cassazione in alcuni precedenti richiamati nella parte motiva, conclude infine affermando che dall’importo liquidato a favore dell’attore non deve essere scomputato quanto dallo stesso ricevuto a titolo di indennizzo assicurativo, e ciò in quanto l’importo di Euro 16.100,00 liquidato dall’assicuratore discende dal diverso titolo contrattuale assicurativo e non da quello del risarcimento danni per illecito contrattuale di cui all’art. 1494 c.c., non escluso nella sua applicazione dalla norma dell’art. 135 codice del consumo.

Il Giudice rileva invero che ad avviso della Suprema Corte, “in tema di risarcimento da fatto illecito, il principio della compensatio lucri cum damno può trovare applicazione solo nel caso in cui il vantaggio e il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta del fatto illecito, quali suoi effetti contrapposti, e quindi non opera allorché l’assicurato contro gli infortuni riceva dall’assicuratore il relativo indennizzo per la lesione patita a causa del fatto illecito del terzo, poiché in tal caso siffatta prestazione ripete la sua fonte e la sua ragione giuridica dal contratto di assicurazione e cioè da un titolo diverso e indipendente dall’illecito stesso, il quale costituisce solo la condizione poiché questo titolo spieghi la sua efficacia, senza che il correlativo effetto di incremento patrimoniale eventualmente conseguito dall’infortunato possa incidere sul quantum del risarcimento dovuto dal danneggiante” (cfr. Cass. 1135/99 e Cass. 7269/03).

Ad avviso del Tribunale di Trento tale impostazione è applicabile anche alla diversa fattispecie della responsabilità contrattuale da vizi della cosa venduta in quanto si fonda su un’analoga ratio, come evidenziato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con le sentenza n. 28056/08, secondo cui “l’effetto della compensatio lucri cum damno che si riconnette al criterio di determinazione del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1223 c.c., si verifica esclusivamente allorché il vantaggio e il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio”.

 Francesco Rolle