di Francesco Rolle

Questo mese segnalo una pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n.12921 del 23 giugno 2015) che affronta un tema certamente di interesse per quei periti che, nella loro attività professionale, si trovano a ricoprire il ruolo di consulenti tecnici di parte nell’ambito della Consulenza Tecnica di Ufficio.

In tale contesto, invero, sempre più spesso i quesiti posti dai Giudici includono nel mandato al perito dell’Ufficio il potere di ricercare, anche al di fuori del materiale probatorio acquisito agli atti del processo, documenti diversi e nuovi. Per questa ragione il consulente di parte si trova, il più delle volte in tempi stetti, a dover decidere se opporsi o meno alla acquisizione di tale materiale: a prescindere dalle valutazioni di opportunità in funzione dell’interesse della parte assistista, il problema nasce dal distinguere con precisione quali documenti siano acquisibili solo con il consenso delle parti – e quindi dei consulenti di parte – e quali, per converso, possano accede comunque alle operazioni per impulso del solo CTU.

Ebbene, la sentenza in esame affronta questo tema tracciando con chiarezza il confine che divide le due categorie ora richiamate.

Come sempre, per apprezzare il ragionamento fatto proprio dalla Cassazione si rende necessaria una breve ricostruzione dei fatti, così come sinteticamente riportati dalla stessa Corte nelle premesse della pronuncia in esame.

La C.M.P., società che svolge l’attività di lavorazione e produzione di prodotti alimentari, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna la SB, società che gestiva la erogazione idrica nel territorio del Comune di Bologna, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni provocati dall’allagamento del proprio stabilimento industriale a causa della rottura di un tratto di condotta idrica facente parte dell’acquedotto pubblico, interrata nell’area prospiciente allo stabilimento, con interruzione della produzione per alcune ore ed inutilizzabilità del prodotto in lavorazione al momento dell’allagamento.

Veniva chiamata in causa la compagnia di assicurazioni di SB.

Il Tribunale di Bologna, in parziale accoglimento delle domande della C.M.P., dichiarava SB responsabile dei danni e la condannava a versare all’attrice la somma di euro 12.891,00 equitativamente determinata.

SB proponeva appello chiedendo il rigetto di ogni domanda nei propri confronti, e C.M.P. proponeva a sua volta appello incidentale ritenendo che il danno fosse stato liquidato in misura inferiore a quanto effettivamente subito.

La Corte d’Appello di Bologna emetteva dapprima una sentenza non definitiva, in cui respingeva l’appello principale di SB, confermando che la responsabilità dell’allagamento nei locali di C.M.P. fosse da ascrivere alla società erogatrice dell’acqua nel Comune di Bologna e, dopo l’espletamento di una CTU, emetteva la seconda sentenza definitiva in cui rigettava l’appello incidentale di C.M.P. e poneva a carico di quest’ultima la refusione integrale delle spese legali di appello in favore sia di SB sia della Compagnia.

C.M.P. proponeva ricorso per cassazione al fine di chiedere – per quanto di interesse in questa sede – la riforma della sentenza con due distinti motivi di gravame.

Con il primo motivo di ricorso, C.M.P. denunciava la presenza di un error in procedendo, per violazione degli artt. 184 e 194 c.p.c., per aver i giudici territoriali considerato mezzo di prova la CTU e precluso al Consulente dell’ufficio l’acquisizione di dati rilevanti.

La ricorrente illustrava che lo stesso CTU, non potendo elaborare una risposta ai quesiti sulla base della sola tabella riassuntiva prodotta dal pastificio, acquisiva da C.M.P., nonostante l’opposizione delle difese delle altre parti, la documentazione necessaria per comprendere, elaborare e verificare l’esattezza del prospetto.

Sosteneva inoltre la ricorrente che i giudici di Bologna, nel ritenere inutilizzabile la consulenza viziata da tale irrituale acquisizione documentale, avrebbero violato il principio di diritto più volte affermato dalla Cassazione secondo il quale al consulente tecnico è consentito acquisire aliunde i dati necessari per svolgere l’accertamento affidatogli.

La Corte ritiene tale motivo infondato per le ragioni che seguono.

Gli Ermellini ricordano che la giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte affermato che in tema di consulenza tecnica d’ufficio, rientri nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere “aliunde” notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, e che dette indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice purchè ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio (Cass. n. 13686 del 2001, Cass. n. 3105 del 2004; Cass. n. 13428 del 2008; Cass. n. 1901 del 2010).

Richiamato questo principio in diritto, ad avviso della Corte è necessario chiarire entro quali limiti sia legittimo l’esercizio di tale facoltà da parte del consulente e quali siano i dati, le notizie, i documenti che egli può acquisire aliunde.

Il criterio guida – prosegue la Corte – è che si tratta di un potere funzionale al corretto espletamento dell’incarico affidato, che non comporta alcun potere di supplenza, da parte del consulente, rispetto al mancato espletamento da parte dei contendenti al rispettivo onere probatorio.

Ad avviso della Corte tale potere viene quindi legittimamente esercitato:

–          in tutti i casi in cui al CTU sia necessario, per portare a termine l’indagine richiesta, acquisire documenti in genere pubblici non prodotti dalle parti e che tuttavia siano necessari per portare a termine l’indagine e per verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o meno corrette (può trattarsi, esemplificativamente, di delibere comunali dalle quali estrarre il coefficiente per determinare il canone di locazione, documentazione relativa ai piani regolatori, dati riscontrabili relativi al valore dei terreni espropriati per verificare che l’indennità di esproprio sia stata correttamente quantificata);

–          in tutti i casi in cui il CTU, nel contraddittorio delle parti, acquisisce documenti non prodotti e che possano essere nella disponibilità di una delle parti o anche di un terzo qualora ne emerga l’indispensabilità all’accertamento di una situazione di comune interesse (quali atti di frazionamento per individuare il confine tra due fondi);

–          in tutti i casi in cui il CTU acquisisce dati tecnici di riscontro alle affermazioni e produzioni documentali delle parti, e pur sempre indicando loro la fonte di acquisizione di questi dati per consentire di verificarne l’esatto e pertinente prelievo. In tale ultimo caso – prosegue la Corte – l’acquisizione di dati e documenti da parte del consulente tecnico ha funzione di riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti.

Ad avviso della Corte, per converso, non è consentito al CTU di sostituirsi alla parte sulla quale cade l’onere della prova, andando così a ricercare aliunde quei dati costitutivi delle domande che dovevano essere allegati e provati (ovvero gli atti e i documenti che siano nella disponibilità della parte che agisce e dei quali essa deve avvalersi per fondare la sua pretesa) e che nel corso del giudizio non erano invero stati acquisiti agli atti del giudizio.

In ragione di quanto precede, la Corte conclude sul punto affermando che nella specie i documenti oggetto di contestazione non dovevamo essere esaminati dal CTU, in quanto non erano stati tempestivamente prodotti dalla parte gravata dal relativo onere. Diversamente opinando, la CTU verrebbe impropriamente a supplire al carente espletamento dell’onere probatorio, in violazione sia dell’art. 2697 c.c., sia del principio del contraddittorio.

La Corte di Cassazione ritiene infondato anche il secondo motivo di ricorso con il quale  C.M.P. denunciava l’erroneità della sentenza della Corte di Appello nella parte in cui era stata disattesa la richiesta di rinnovo delle operazioni peritali.

Ad avviso della Corte nessuna violazione delle norme processuali è stata commessa dalla Corte d’Appello nel momento in cui non ha provveduto a rinnovare la c.t.u. atteso che la stessa società ricorrente non ha prodotto tempestivamente, nei termini previsti per le produzioni documentali in primo grado, la documentazione atta a provare l’ammontare effettivo dei danni subiti a seguito della interruzione della lavorazione per una giornata lavorativa (ie la documentazione attestante il numero di operai impiegati in azienda il giorno dell’allagamento, le produzioni in corso, il quantitativo di materie prime andati distrutti, gli ordini inevasi o evasi in ritardo a causa dell’allagamento), ma si è limitata a produrre un prospetto riepilogativo senza alcuna documentazione di supporto.

Prosegue la Corte, a fronte di tale situazione il giudice di primo grado non ha dato ingresso alla consulenza ritenendola implicitamente esplorativa e, risultando comunque la prova dell’esistenza di un danno in quanto gli impianti si erano fermati e certamente era stato necessario interrompere la produzione per il tempo necessario a ripulirli dall’acqua, ha liquidato una somma contenuta a titolo di risarcimento equitativamente determinato del danno.

Il giudice di secondo grado ha invece dato ingresso alla consulenza, chiedendo al consulente se le cifre riportate nel prospetto fossero congrue. Il consulente, non essendo in grado di formulare il giudizio di congruità richiestogli senza una verifica documentale sulle produzioni in corso, sui materiali impiegati, sul numero degli operai al lavoro etc., ha direttamente richiesto alla ricorrente la produzione documentale che questa non si era curata di predisporre e depositare tempestivamente, nonostante l’opposizione della controparte.

A fronte di ciò – prosegue la Corte -, la Corte d’Appello non ha potuto che dichiarare la nullità della consulenza e ha ritenuto nella sua valutazione discrezionale che fosse inutile disporne la rinnovazione, non potendo più la parte fornire al consulente quei documenti senza i quali una stima effettiva dei danni non era praticabile.