di Francesco Rolle
Questo mese segnalo una interessante sentenza resa dalla Cassazione (Cass. civ. Sez. VI – 3, Sent., 3 settembre 2015, n. 17581) in relazione ai criteri che devono guidare l’interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione della RC (nello specifico una clausola relativa ai danni “da bagnamento“).
Per apprezzare il ragionamento fatto proprio dal Supremo Collegio si rende necessaria, come sempre, una breve ricostruzione dei fatti, così come sinteticamente riportati nelle premesse della pronuncia in esame.
Con sentenza n. 1553/2011 il Tribunale di Lecce confermava la condanna, emessa in primo grado dal Giudice di Pace, della C. Costruzioni a pagare, in solido con il Comune di C., Euro 2.073,48 a F.C., in risarcimento dei danni provocati all’abitazione di quest’ultima da infiltrazioni d’acqua ascrivibili a responsabilità degli stessi. Il giudice di appello confermava altresì il rigetto della domanda di garanzia, proposta dalla C. Costruzioni contro la propria Compagnia, ritenendo l’evento non coperto dalla polizza di assicurazione.
In particolare, il Tribunale respingeva la domanda proposta dalla C. Costruzioni contro la compagnia assicuratrice sul rilievo che la clausola 4.4 delle condizioni generali della polizza contro la responsabilità civile, in corso fra le parti, escludeva dal rischio assicurato i danni da bagnamento causati da acqua piovana o da agenti atmosferici in genere; e che, pur se fra le clausole aggiunte vi fosse un art. E) che, a parziale deroga della suddetta clausola, estendeva la garanzia ai danni da bagnamento, l’estensione doveva ritenersi concernente esclusivamente “i lavori di costruzione e manutenzione di edifici”, mentre il Comune aveva dato in appalto alla C. Costruzioni solo i lavori di rifacimento del marciapiede.
La C. Costruzioni proponeva quindi ricorso per Cassazione limitatamente a quest’ultimo capo della sentenza di appello:
– denunciando violazione degli artt. 1342 e 1362 cod. civ., D.P.R. n. 554 del 1999, art. 103 e D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 129;
– addebitando al giudice di appello di aver male interpretato le clausole contrattuali e di non avere tenuto conto del fatto che – nei contratti conclusi tramite condizioni generali predisposte da uno dei contraenti – le clausole aggiunte debbono prevalere su quelle predisposte a stampa;
– rilevando che il contratto di assicurazione di cui trattasi è stato appositamente stipulato con riferimento ai lavori appaltati dal Comune C. alla C. Costruzioni;
– rilevando che a tali lavori vanno riferite le clausole ed in particolare quella in oggetto;
– rilevando infine che, in ogni caso, negli appalti pubblici le citate norme impongono alle imprese appaltatrici di stipulare polizze che tengano indenni le amministrazioni aggiudicatrici da tutti i rischi di danni a terzi, salvo quelli derivanti da errori di progettazione o da causa di forza maggiore.
Ad avviso del Supremo Collegio il motivo è fondato per le ragioni che seguono.
Ad avviso degli Ermellini, invero, è fondato il rilievo per cui il giudice doveva tenere conto, nella suddetta interpretazione, del fatto che la polizza era stata stipulata con riferimento allo specifico contratto di appalto stipulato fra il Comune C. e la C. Costruzioni, e che pertanto l’oggetto della garanzia doveva necessariamente essere ricostruito tenendo conto della natura dei lavori di cui al contratto medesimo.
Pertanto, pur se la clausola relativa ai danni “da bagnamento” era stata predisposta con riferimento ai lavori di costruzione e di manutenzione di edifici, non è escluso che essa potesse, e probabilmente dovesse, essere interpretata estensivamente, sì da comprendere i lavori edilizi in genere, ed in particolare quelli in relazione ai quali la polizza era stata appositamente stipulata.
Ad avviso della Suprema Corte, tale interpretazione si impone in applicazione del principio per cui, nel ricostruire la volontà delle parti, non ci si può limitare al senso letterale delle parole, ma occorre fare riferimento alla comune volontà delle stesse, quale emerge dal complesso dell’atto e dalla natura dell’affare a cui accede (artt. 1362 e 1363 cod. civ.).
Ad avviso della Corte nella specie il contenuto della garanzia e l’interesse delle parti vanno individuati con riferimento allo specifico contratto di appalto di cui trattasi, sì da includere nella copertura assicurativa i rischi inerenti ai lavori ivi contemplati, e ciò considerato anche il fatto che:
– la clausola relativa ai “lavori edilizi” non è stata cancellata;
– anche i lavori di rifacimento di un marciapiede costituiscono lavori edilizi, per di più inerenti a parti contigue ed accessorie agli edifici;
– non si comprende quale fosse il rischio assicurato, se se ne esclude quello inerente ai lavori per i quali ne era richiesta la stipulazione quale presupposto per la concessione dell’appalto da parte del Comune.
Tale interpretazione estensiva, ad avviso della Suprema Corte, si impone anche in applicazione:
– dei principi in tema di interpretazione del contratto secondo buona fede (art. 1366 cod. civ.);
– del principio di conservazione, per cui il contratto o le singole clausole si interpretano, in caso di dubbio, nel senso in cui possono avere qualche effetto anziché in quello per cui non ne avrebbero alcuno (art. 1367 cod. civ.);
– della regola generale interpretativa per cui le clausole predisposte da una delle parti mediante condizioni generali si interpretano, nel dubbio, in favore della parte aderente (art. 1370 cod. civ.).
Sulla base delle argomentazioni che precedono, gli Ermellini hanno quindi statuito che l’impugnata sentenza non si è fatta carico di alcuno di tali principi e per tale ragione deve essere cassata, con rinvio della causa al Tribunale di Lecce, in persona di diverso magistrato, affinché proceda all’interpretazione del contratto di assicurazione, con motivazione che tenga conto dei principi sopra enunciati.
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