di Marco Ruggi
Siamo alla quarta rivoluzione industriale. La prima, avviata nel settecento e ricordata per l’avvento della macchina a vapore, la seconda arrivata un secolo dopo, portatrice dell’elettricità, del motore a scoppio e della catena di montaggio, la terza riconducibile agli anni settanta del secolo scorso, che ci ha portato il computer per sintetizzare telecomunicazioni ed informatica. La quarta, quella in cui volenti o nolenti ci troviamo già pucciati, è quella probabilmente più temibile per velocità di cambiamento e difficoltà di adattamento. Quella che lascerà a piedi 5 milioni di lavoratori per occupazioni obsolete, concedendone di nuove non più di 2 milioni, semprechè le stime possano considerarsi attendibili. Adolfo Bertani, Presidente Cineas, con grande franchezza e lucidità lungimirante, ha esposto questo tema nel suo intervento al convegno Periti Uniti di Cervia. Che non è banale! Per nulla. L’ho ascoltato con attento interesse perché è dalla questione economica e sociale che io perito mi devo maggiormente preoccupare. La quarta rivoluzione industriale, quella della globalizzazione, degli spostamenti migratori, dei cambiamenti climatici, dell’età pensionabile sempre più in là rimandata, delle connessioni in reti globali, della robotica, delle auto che viaggeranno…ops…viaggiano già da sole, mi intimorisce di brutto! Più ci penso è più provo un senso di impotenza verso il buco nero nel quale io e gli altri, cioè tutti, siamo sospinti con una velocità ben maggiore rispetto a quella che mamma natura mi ha concesso per l’adattamento. Un cambiamento in atto che si propone alla velocità della luce, quella di Superman, non la mia. Dico tutti perché nessuno pare possa non patire del processo in corso. Nelle precedenti rivoluzioni industriali i ricchi risultavano salvi e con le capacità del caso sono riusciti ad aprirsi opportunità economiche di miglioramento. Oggi, con la quarta rivoluzione industriale, anche loro corrono il rischio di essere fottuti. Se cercate in internet le società potenzialmente a rischio nel prossimo futuro, vi stupirete per i brand candidati alla chiusura. Per questo un pochetto mi sento meno solo, quando negli ultimi incontri nelle Compagnie viene rappresentato il rischio della riduzione di noi periti. La necessità implacabile di ridurre i costi esterni non prescinde dal mantenere inalterati quelli interni. Quindi, riflessione number one per me perito al ritorno del proficuo incontro del convegno di Periti Uniti, è che la società economica sta vivendo il cambiamento definibile come rivoluzione industriale. Non posso fare altrimenti che vivere il mio tempo! Bertani ha aggiunto che nel prossimo futuro, pur con i cambiamenti in atto, ci sarà spazio sia per gli studi peritali grandi che per i piccoli, purchè quest’ultimi specialistici. Apprezzabile la concessione buonistica di Bertani verso i piccoli studi, ma purtroppo probabilmente così non sarà. Nel contesto globale le occasioni per le micro realtà lavorative, seppure di grande specializzazione, si ridurranno notevolmente. Un vero peccato per la perdita di quella diversità, utile al sociale e rappresentativa della professione. Proprio di alcuni giorni addietro l’anticipazione del contratto che una primaria e tradizionale Compagnia ci proporrà nell’autunno, non sottoscrivibile da quei periti che hanno per cliente la sola Compagnia in questione. Il cambiamento è subdolo! Riflessione numero due per me professionista perito che torno arricchito dal convegno Periti Uniti: nel mio tempo, essere GRANDE è il vero valore aggiunto. L’unico che forse mi aiuterà a non trovarmi tra i 5 milioni di disoccupati pronosticati. Un dato di sconforto o di conforto, leggetelo come vi pare, che potrebbe essere la terza riflessione che mi son portato a casa da Cervia, riguarda l’anagrafe. Se avete dai venti ai sessantacinque anni, non potete sperare di fare gli imboscati del cambiamento; se siete over 65, forse ci riuscite a rimanere nel lavoro finchè la salute vi accompagna, ma il suggerimento potrebbe essere di uscirne anticipatamente con eleganza. Si, le mie riflessioni sono crude, addirittura aspre, tanto da legare la lingua al palato e far venir meno la parola. Ci ho pensato un attimo prima di scriverle ed infine l’ho fatto perché la nostra rivista ha il dovere di fare opinione ed informazione. Ma il pessimismo che potrebbe trasparire, se ci penso bene, viene azzerato per le OPPORTUNITA’ che si prospettano all’orizzonte. Il convegno Periti Uniti è stato un vero successo. Un momento epocale per la nostra categoria. Per l’aggregazione riuscita nell’evento delle basi associative, per i contenuti trattati, perché per una volta finalmente in un convegno il protagonista è stato il PERITO. Mi soffermo poco a scrivere del convegno, lasciando ad altri la cronistoria dell’evento, degli argomenti e degli interventi. Un editoriale deve trattare il cuore dei fatti e delle persone. Affrontare e confrontare la preoccupazione dei colleghi diventa un dovere sacrosanto: la nostra professione avrà un futuro? Non posso certo arrogarmi il sapere di una risposta certa, tuttavia dopo Cervia è palese che non ci possiamo attendere lo status quo della professione. La certificazione Uni è un aspetto importante, ma da sola non basta. Servirebbero idee innovative e maggiore volontà aggregativa. Forse le Associazioni o la stessa Periti uniti dovrebbero indire un concorso di idee per il futuro della professione: parlarne insieme serve. Resta in ogni caso fontamentale acquisire la consapevolezza di quanto sta avvenendo e smetterla di riproporsi con la consuetudine unica, come se in nessun’altra maniera fossimo capaci. Con il convegno abbiamo proposto il nuovo, però, purtroppo, all’assemblea Periti Uniti del dopo convegno chi c’era ha assistito al secondo atto di Periti Disuniti. Normale che riproponendo vecchi schemi ci si senta meglio, come a casa e rincuorati. L’assemblea aveva il proposito di raccogliere consensi o critiche, pareri o propositi dalla base associativa, tenuto conto che non c’è stato tempo di dare spazio alle domande durante il convegno ed il tentativo di regimare quello che si doveva o non si doveva dire, quello che si poteva o non si poteva disquisire non è stato un bene. Naturale che ognuno esponga il proprio dire con differenti velocità propositive ed attuative: non siamo tutti uguali. Ma in questo particolare momento i lenti dovrebbero avere l’intelligenza di lasciare maggior spazio ai veloci. Come nella foresta i soggetti più veloci hanno maggiori possibilità di riuscita. Alcuni hanno ancora sentito il bisogno di portare avanti la propria bandiera associativa a prescindere. Assit ha avuto un ruolo determinante, essenziale ed esclusivo per tutto quanto fatto, ma l’ha fatto in e per Periti Uniti. Assit non sente la necessità di attribuirsi meriti. Però, i complimenti per meriti alle persone che ho visto lavorare giorno e notte per la riuscita dell’evento, non mi riesce proprio a trattenerli: bravi con un grazie a Campagna e Fossati! Bravissima anche a Laura Di Bartolo di Assit, per l’efficiente organizzazione del convegno. In definitiva, il percorso comune è ancora lungo ma la strada tracciata è quella che tutti ci attendevamo. Siamo riusciti nell’intento di stupire. Nell’occasione abbiamo fatto molto di buono ed ancora di più dobbiamo fare. Per esempio dovremmo migliorare in comunicazione ed arrenderci forse alla constatazione che non è il nostro pezzo forte. Selezionare gli ingressi al convegno è stata una scelta di basso valore comunicativo, poiché il detto “purchè se ne parli” è buono anche per la nostra categoria, quindi i potenziali o reali competitor li si doveva lasciar entrare. Solo diventando veramente consapevoli della quarta rivoluzione industriale in atto, del grande come valore aggiunto, dell’aggregazione della categoria e della necessità obbligata di innovare, potremo aprire il varco delle OPPORTUNITA’. Si sono le nuove opportunità che interessano alla mia categoria. La terza rivoluzione industriale ha dato vita a realtà come Microsoft, Apple e pure una miriade di microrealtà dedicate all’informatica. Ecco, di questo voglio ben sperare, fermamente convinto dell’utilità della mia professione di estimatore non soltanto verso il comparto assicurativo. Sennò, se così non pensassi, ai posteri lascerei il ricordo del perito vintage, che si è addormentato abbandonandosi all’eutanasia della propria professione.
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