di Sara Bonetti

Questo mese propongo un articolo pubblicato dall’Osservatorio nell’aprile 1998 e che offre, a mio avviso, lo spunto per una riflessione sui cambiamenti che hanno, in questi anni, modellato il comparto assicurativo. Sono trascorsi quasi vent’anni, tuttavia le tematiche affrontate nell’articolo non si possono definire in alcun modo sorpassate, piuttosto “adattate” al contesto attuale e definitivamente “in corso di concretizzazione”.

Il processo di avvicinamento del mondo assicurativo verso un mercato lasciato scoperto dallo Stato è definitivamente in fase di realizzazione, con sentimento meno “frustrato” di quanto descritto e più focalizzato sull’offerta di prodotti concorrenziali; si pensi ad esempio alla commercializzazione di coperture assicurative terremoto, a primo rischio assoluto e premio fisso, nell’ottica di un progressivo minore affidamento ai contributi statali in caso di calamità naturale.

La congiuntura economica dell’ultimo decennio ha imposto una visione del futuro non più in termini di crescita, bensì di rallentamento ed incertezza; l’assottigliamento della domanda ha comportato una repentina concentrazione degli attori, cui tuttavia non ha fatto seguito uno slancio volto a “fare sistema”, bensì una spinta individualista, che sta trasformando la naturale competizione in  una selezione massiccia e forzata.

Se da una parte il mondo assicurativo sembra essere sempre meno autoreferenziale, dall’altra non è ancora riuscito, almeno in Italia, a penetrare efficacemente quella parte di mercato in cui ancora risiedono le così dette “potenzialità inespresse”.

Alla scarsa “cultura della marginalità” che caratterizza il nostro paese, e che contribuisce a tenere bassi i livelli di penetrazione nel mercato potenziale, si è affiancato un calo significativo della domanda; la naturale reazione si è concentrata sull’offerta di prodotti sempre più “economicamente” competitivi, cui è seguita l’offerta al ribasso dei servizi ad essi correlati.

L’inerzia al cambiamento che per decenni ha caratterizzato il mondo assicurativo sta alla fine venendo meno; i tempi di reazione si sono accorciati, ma molti operatori sembrano non essere ancora pronti per assecondare il cambiamento di rotta.

L’avvento delle nuove tecnologie ha imposto un cambio di ritmo e di lavoro e ha portato ad identificare un’ampia marginalità nel cumulo dei costi eliminabili, specialmente laddove la ripetitività permette la sostituzione del lavoro dell’operatore con quello del programma.

La sensazione è che dopo tanti anni di discussioni e dibattiti si sia infine arrivati ad un punto di non ritorno, e che la consapevolezza della nostra categoria (quali periti) non abbia ancora raggiunto la maturità per accettare o governare il cambiamento. La reazione non appare univoca e compatta, ma estremamente frammentata. La costruzione di una profonda consapevolezza della categoria è ancora un processo in divenire, ma il tempo a disposizione non è più scontato sia sufficiente. Due le alternative: accelerare insieme e portare a compimento il processo, oppure rinunciare e correre ognuno con le proprie gambe, con il rischio però di essere confusi con una miriade di altri concorrenti, più o meno improvvisati, ma forse più organizzati.

Il futuro dell’assicuratore italiano

 

Il futuro e il necessario rilancio del settore assicurativo, transita dalla necessità di fare delle assicurazioni un vero e proprio sistema, e cioè di assumere una logica sistemica e non la logica di una semplice somma di imprese. Per realizzare ciò vi sono passaggi tanto obbligati quanto non semplici. Il primo è relativo alla dimensione della potenziale domanda, il secondo è relativo alla realtà dell’offerta ed al problema della competizione.

Per quanto attiene alla domanda, il versante assicurativo si trova immerso in una situazione che assomiglia a quella delle sabbie mobili.

Due aspetti a mio avviso meritano particolare attenzione: l’aumento di domanda prevedibile, in base al fatto che negli ultimi anni si è instaurato un ritmo cadenzato nel rapporto fra mutualità e statualità, in cui lo Stato si va ritirando dalla copertura dei bisogni sociali ed è quindi fatale che aumenti la domanda assicurativa. La domanda quindi aumenta ed è in parte una domanda “perfida” perché viene dalla frustrazione di una precedente copertura che ora non c’è più.

Dall’altra parte vi è però anche una domanda più interessante, derivante dal fatto che una società moderna – e l’Italia comincia ad esserlo – è una società competitiva. La competizione significa selezione, e la selezione significa rischio d’essere esclusi ed emarginati; e il rischio dell’emarginazione significa doversi coprire le spalle.

Pertanto più diventeremo competitivi, più ci sarà spazio per una cultura del rischio e per una conseguente copertura.

Questi due elementi di crescita della domanda assicurativa sono fortissimi e non quantificabili soltanto in base a parametri indiretti, come l’aumento del premio o il rapporto fra il premio medio annuale italiano e quello di altri paesi.

Certamente se il premio medio annuale italiano è di 600 dollari, mentre quello inglese è di 2000 dollari. significa che vi è uno scarto da colmare e non è certo di segnale opposto che il mercato tedesco sia più simile a quello italiano che a quello anglosassone, significa solo che abbiamo un grande potenziale che attende di esprimersi.

La crescita della domanda d’atra parte va gestita, nessuno può pensare ad una crescita automatica. Essa ha bisogno di una cultura sociale, di una reinterpretazione della cultura del rischio e di una interpretazione della cultura della marginalità.

Non basta registrare che lo Stato si ritira e che c’è paura di selettività.

Il mondo che gira intorno alla “ex copertura statale” e al nuovo rischio di una società competitiva, è fatto anche di atteggiamenti, di comportamenti, di pensieri e di paure, totalmente diversi dal passato.

Non vi è dunque estrapolazione pura e semplice, bensì un processo che necessita di mediazione da fare e da capire, e che oggi nessuno mi pare abbia ancora fatto.

Ci si illude che, siccome il mercato c’è e ci sarà, si possono “mandare i panzer” sul terreno, e che non può trattarsi né di bancari né degli assicuratori.

La realtà è che non abbiamo praterie su cui mandare le truppe, ma piuttosto un dedalo di viuzze, un mercato estremamente differenziato, che va dai grandi rischi collettivi, a quello aziendale, fino ai rischi della piccola impresa ed a quello individuale ai rischi della pensione, ed a quelli della sanità, ai rischi della protezione dalla marginalità aggressiva, a quelli familiari. Non basta perciò rinnovare i prodotti, ma la prima cosa da fare è capire il tipo di domanda che si va sviluppando.

Più complesso, e non basta una riflessione sociologica e socioculturale per risolverlo, sembra invece il problema dell’offerta. Il mondo assicurativo è stato fino ad oggi autoreferenziale, quasi “fuori dal mondo”. In quarant’anni di ricerca sociale si è sempre incontrato nel mondo assicurativo un atteggiamento di “alterigia”, di alterità “siamo diversi, siamo lontani”.

Ma la autoreferenzialità sottolineata e sostenuta fino ad oggi, non basta se si vuole “fare sistema”.

Essa ha bisogno di un rapporto con la domanda diverso dal passato, perché prima la domanda era omogenea, ora è diversa come diverso è il mondo di organizzare l’offerta.

Senza entrare nel tema dei prodotti e degli intermediari ci sono tre argomenti che affrontati depongono per il superamento della autoreferenzialità del mondo assicurativo.

Il primo argomento è relativo al fatto che l’assicuratore è sempre più dipendente dall’alta finanza e quindi non è più autonomo. E’ quindi un mondo in cui l’autoreferenzialità slitta in alto verso la finanza e lascia l’orgogliosa autosufficienza che una volta era propria dell’assicuratore. Il mondo assicurativo non fa più sistema perché è diventato dipendente.

Secondo argomento: il mondo assicurativo non fa più sistema perché vive all’interno di un meccanismo di competizione che lo sfrangia.

Si può certo competere con le banche, con i consulenti finanziari e con le grandi finanziarie, ma ciò era più semplice quando ci si muoveva all’interno di un mondo autoreferenziale e compatto, nel quale l’arrivo dei competitors forti, che incidono anche sul piano politico, era contrastato dalla compattezza interna.

E’ la vicenda dei fondi pensione, del peso della Confindustria sulla legge in questione e del cambiamento attuale dei meccanismi di lobby. Il competitor oggi non è rinvenibile solo nel consulente finanziario o nello sportellista bancario. La competizione sta anche nel potere.

Terzo argomento: le realtà straniere, che già si stanno affacciando al mercato italiano. Ciò che fa più temere non è la mancanza di domanda, questa c’è ed è anche abbondante. La copertura del rischio nei prossimi decenni avrà maggiore sviluppo, sia perché lo Stato recede, sia perché aumenterà la selettività competitiva del sistema e quindi il rischio.

Fa paura il versante sistemico dell’offerta, laddove il mondo assicurativo non riesca a fare sistema perché per decenni e fino ad oggi ha agito in modo autoreferenziale.

Saranno i prossimi anni che daranno una risposta alla nostra capacità di stare dentro alle pieghe di una società in fermento, di progettare un più armonico ordine sociale, con sempre più evidenti necessità di sicurezza.

 

Dott. Gianfranco Brunetti