Recentemente, osservando la dinamica di alcuni sinistri particolari, mi è capitato di affrontare il caso di un furto caratterizzato dalla “permanenza clandestina”.

Nel corso della mia esperienza professionale, maturata in larga parte in una Compagnia di  Assicurazioni ed ultimamente in campo peritale, ho sentito parlare di questa tipologia raramente, forse perché questa dinamica, di per sé già numericamente contenuta, è per la sua stessa natura difficile da interpretare; tuttavia esiste e quando si presenta non è di facile gestione.

E’ utile perciò in primo luogo chiarire il concetto di questo caso particolare di sinistro, connesso al furto, identificato nell’ambito di una dinamica che si sostanzia attraverso l’azione della “permanenza clandestina”, distinguendola nettamente da quella dell’ “introduzione clandestina”, ancora presente in molti contratti che ne accomunano il significato, a mio modo di giudicare, impropriamente.

Vediamo di cogliere i perché e i motivi che ne semplifichino la sua lettura.

FURTO CON PERMANENZA CLANDESTINA

 E’ il furto commesso da persona che, dopo essersi introdotta nei locali nei modi normali di accesso approfittando di determinate condizioni e senza destare sospetti nelle persone addette alla sorveglianza dei locali stessi, permane in modo clandestino facendosi rinchiudere ed asportando la refurtiva mentre i locali erano chiusi, limitazione questa, dettata dalla costante necessità dell’assicuratore di avere la prova che il furto sia effettivamente stato consumato.

Quindi è chiaro che si tratta di permanenza e non di introduzione  clandestina, ecco perché in Ania, la Sezione Tecnica per le Assicurazioni Furti nel 1992, a seguito di furti avvenuti con modalità non troppo evidenti,  propose la modifica ai testi di polizza per rendere più chiaro il tipo di evento criminoso che si intendeva garantire, ed emanò un nuovo testo di Polizza, con la modifica “dell’Oggetto dell’Assicurazione” con il seguente:

Art. – Oggetto dell’assicurazione

La Società indennizza i danni materiali e diretti derivati dal furto delle cose assicurate, anche se di proprietà di terzi, a condizione che l’autore del furto si sia introdotto nei locali contenenti le cose stesse:

a)       violandone le difese esterne mediante:

a.1)      rottura, scasso;

a.2)      uso fraudolento di chiavi, uso di grimaldelli o di arnesi simili;

b)     per via, diversa da quella ordinaria, che richieda superamento di ostacoli o di ripari mediante impiego di mezzi artificiosi o di particolare agilità personale;

c)       in altro modo, rimanendovi clandestinamente, ed abbia poi asportato la refurtiva a locali chiusi.

Se per le cose assicurate sono previsti in polizza dei mezzi di custodia la Società è obbligata soltanto se l’autore del furto, dopo essersi introdotto nei locali in uno dei modi sopra indicati, abbia violato tali mezzi come previsto dalla lettera a.1).

Sono parificati ai danni del furto i guasti causati alle cose assicurate per commettere il furto o per tentare di commetterlo.

Si era alla fine riusciti a modificare, al termine di un lungo dibattito tecnico, la locuzione relativa all’introduzione clandestina modificandola con quella che trattava la “permanenza clandestina”. Non tutte le Compagnie adeguarono i propri contratti al dettame della Sezione Tecnica, ed ancora oggi troviamo definizioni di polizza tra loro contrastanti, tuttavia tale circostanza non impedisce l’indennizzabilità del sinistro nel caso in cui vengano rispettate le modalità richieste dal contratto in esame.

Sembrava, inizialmente, una discussione accademica e quasi stucchevole ma risultò essenziale, capire che chiunque entri in uno spazio commerciale o in un luogo pubblico, dove non è conosciuto è già anonimo o clandestino;  è tuttavia solo la permanenza, la sosta prolungata in un graduale processo di perdita di vista, che determina lo stato di una clandestinità capace di  offrire lo spazio di un’ eventuale azione criminosa.

Il resto della clausola restò invariata, richiedendo che l’asportazione della refurtiva avvenisse a locali chiusi.

Occorre solo ricordare che il furto con “permanenza clandestina” è solitamente riscontrabile nei grandi centri commerciali o locali pubblici fortemente connotati da un alto flusso di persone che “clandestinamente” si introducono nei suoi ampi spazi, controllabili non senza difficoltà e con un importante dispendio di risorse. Fatto non riscontrabile in un negozio o in piccole attività commerciali dagli spazi ridotti, con un flusso di persone limitato e facilmente sorvegliabili.

Inoltre si deve anche tenere presente la normativa italiana in materia di sicurezza contro gli incendi nei locali pubblici, arricchitasi ed integratasi, dopo i tragici fatti del cinema Statuto di Torino, (1983) con una serie di misure (logistico – organizzative – informative) tutte incentrate nel predisporre uscite di sicurezza facilmente utilizzabili grazie ai maniglioni antipanico “liberi” e ad una cartellonistica ad hoc. Se tali innovazioni hanno migliorato il livello della sicurezza e dell’incolumità delle persone, su un versante assicurativo, hanno creato un paradosso, relativamente al rischio di volta in volta considerato.

Difatti nella clausola relativa ai “mezzi di chiusura”, che determinano l’efficacia della copertura di un rischio e riportata su tutti i contratti Furto, si richiede che le porte siano chiuse. Anche la modalità per il cui il furto con permanenza clandestina sia liquidabile,  prevede che il malfattore dopo essere rimasto clandestinamente asporti la refurtiva a locali chiusi. Ma come è possibile, determinare se le porte erano chiuse se la Norma vigente prevede che i maniglioni siano liberi da ogni vincolo per permettere l’uscita delle persone in caso di pericolo? Anche se non è poi così vero, in quanto un capoverso della Norma prevede che : “i sistemi di chiusura di qualsiasi tipo (ad. es. con chiave o manopola girevole) sono ammessi sul lato interno delle uscite d’emergenza solamente se la manovra della maniglia sul lato interno fa immediatamente scattare la serratura (scrocco, chiavistello da aprire a mezzo chiave o manopola girevole)”.

Quindi stando alla Norma posso “chiudere e rifermare” la porta anche di un’uscita di sicurezza, ma la stessa Norma riporta che : … la serratura di un’uscita d’emergenza debba  essere costruita in modo da permettere l’apertura della porta dall’interno in un secondo con un solo gesto della mano senza che siano necessarie chiavi o dispositivi equivalenti.

Per quanto concerne l’attività peritale, il problema nasce quando devo determinare se vi è forzamento dei mezzi di chiusura. Cosa abbastanza problematica visto che dall’interno, ancorché le serrature siano chiuse, le posso aprire facilmente senza alcun tipo di scasso.

In conclusione possiamo affermare che dimostrare se un furto è avvenuto con le modalità richieste dalla formulazione della “permanenza clandestina” è molto difficile se non improbabile. Solo se le porte fossero dotate di rilevatori magnetici e la Centrale di allarme avesse un registratore di eventi, ovvero vi fosse un sistema T.V. C.C con video sorveglianza e registrazione delle immagini, forse potremmo determinare se il furto è avvenuto aprendo le porte dall’interno altrimenti dobbiamo solo recuperare tutti gli indizi atti a determinare che effettivamente qualcuno ha “dimorato” all’interno dell’insediamento e ne è uscito senza però lasciare scassi.

 

                                                                                     Cesare Biscozzi